Dalla fusione di arte e architettura: la sorprendente avventura nel mondo della ceramica degli Amaaro.


“La sperimentazione è l’anima pulsante dell’arte, il battito incessante
che ci spinge oltre i confini del noto per abbracciare l’ignoto.”
Wassily Kandinsky


È Claudia a rispondere al telefono, mentre Martino ci raggiunge dopo poco, per iniziare a raccontare la genesi degli Amaaro. Architetto lui, pittrice lei. Due talenti che si sono incontrati inaspettatamente, dando vita a una collaborazione eclettica che ha arricchito l’immaginario collettivo. Due designer provenienti da mondi diversi che insieme hanno scoperto, esplorato e sperimentato il mondo della ceramica.

Martino, con la sua formazione in architettura, e Claudia, pittrice, hanno trovato il loro punto d’incontro nel mondo della ceramica. La loro è stata una scoperta fortuita, quasi come un sorso di amaro a fine pasto, la degna conclusione di un pranzo luculliano. Ed è proprio nel sostantivo che rappresenta l’amarezza del digestivo che conclude un pasto che risiede il nome che Martino aveva attribuito al suo studio di architettura, un nome che per ragioni di dominio è stato poi arricchito da una a, a ricordare il design Nord Europeo.

È incredibile pensare come né a Martino né a Claudia interessasse la ceramica.
Una passione, però, che non è nata dal nulla. Martino ha respirato per anni questo mondo, i suoi genitori infatti si cimentavano nella realizzazione di oggetti in ceramica nel laboratorio che lui e Claudia hanno poi deciso di rimettere in funzione. La bellezza di questo duo nasce dal possibilismo con cui Claudia e Martino, si sono guardati e si sono detti: perché no, rianimiamo questo laboratorio.
Uno spazio abbandonato da anni a cui hanno ridato vita facendo qualcosa di completamente diverso rispetto a prima. Il papà di Martino è stato un aiuto imprescindibile nell’esplorazione di questo nuovo mondo approcciato con una naturalezza istintiva, la storia della continuità nel rinnovare una potenziale idea. È la tranquillità il motore con cui Claudia si è rapportata con la scoperta di questo mondo. Quando hanno iniziato non le piaceva la ceramica, per lei era una brutta fruttiera che i suoi genitori tenevano al centro del tavolo e che lei copriva con la frutta per nasconderne la forma, per coprirne la bruttezza. Non le piacevano le forme tradizionali ripetute all’infinito, non le piaceva la lavorazione del materiale, la decorazione che lo completava. É da questo rifiuto che nasce la ricerca della finitura delle opere degli Amaaro, dal desiderio di una freschezza del materiale, una lavorazione che non si affossa mai nel rifinito a pennello. Il loro studio cita gli oggetti antichi ma li interpreta con una freschezza e un’ironia rappresentativa di questo giovane duo di designer.

Quando gli chiediamo quale sia stata la prima cosa che hanno realizzato entrambi ridono. Si erano messi in testa di voler replicare la bicicletta di Martino. E così aiutati da Graziano, il papà di Martino e da Giancarlo Tinazzi, un torniante di Imola, hanno realizzato lo stampo in gesso della bicicletta. Ci hanno messo tre giorni. Ma hanno portato a casa una lezione meravigliosa: il possibilismo di poter fare con la ceramica quello che volevano.


Ne sono seguiti poi dei collage pop di oggetti con accendini e bombolette spray a comporsi nel creare un bassorilievo. Collage di elementi del vissuto ricomposti per creare forme e colori. Ma soprattutto ne è seguita una fase di ricerca che non si è ancora fermata perché ogni qualvolta riescono a raggiungere il compimento e a trovare la giusta forma ecco che allora arriva il tempo di passare a ricercare altro, a esplorare nuovi mondi. La parola chiave che descrive il loro percorso è sperimentazione. Una sperimentazione che nasce nella realizzazione dell’oggetto per capire cosa stiano facendo. L’approccio architettonico di Martino si ritrova nella genesi delle loro opere, che scaturisce attraverso l’uso di modelli, proprio come la progettazione architettonica degli edifici.


E se il vaso è l’archetipo della ceramica con cui tutti si confrontano, l’oggetto della tradizione che ti chiama a sé e ti chiede di essere replicato, Martino e Claudia fra i loro progetti hanno all’attivo l’installazione in uno studio di architettura di 200 vasi: appesi, appoggiati, pendenti. Stiamo parlando di oggetti di uso che diventano arredo, design, caratterizzati dalle barde dello stampo. Leziosità meravigliose.


Claudia e Martino si alternano nelle lavorazioni in un gioco che li rende indispensabilmente complementari. Martino si occupa di realizzare le parti al tornio e fa gli stampi in gesso. Lei gestisce tutta la parte smaltata e decorata. Insieme progettano e compongono. Una fase in cui o bisticciano o sono in accordo, il loro codice di sicurezza. Per dare una finitura nuova alle loro opere le sperimentazioni di Claudia l’hanno condotta nell’applicare la tecnica dello spolvero, utilizzata nella pittura degli affreschi. Un metodo tradizionale e ingegnoso per trasferire un disegno preparatorio su una grande superficie murale.
“In ceramica è una tecnica che utilizziamo solo noi…” dice Martino orgoglioso e Claudia ribatte “Per forza, è noiosissimo!”.
Chiediamo a Claudia di raccontarci il suo lavoro. Immaginatela con indosso tuta, guanti e maschera, immaginatela china con l’ago, la carta da spolvero, la punta dell’ago che si tuffa sulla carta e la trafigge, punto dopo punto. Immaginate questa carta da spolvero appoggiata alle ceramiche degli Amaaro, Claudia che con batuffoli di pigmento, delicatamente e ripetutamente, riporta sul piatto il disegno, mischia i colori e li sovrappone, lascia passare il pigmento attraverso i fori. Tolta la carta, riporta la traccia. Immaginate tracce sovrapposte in modo da dare volume alla forma, la freschezza dei colori ottenuta grazie a un lunghissimo lavoro di punzonatura. Claudia esplora questa tecnica, come una nuotatrice esplora il mare, bracciata dopo bracciata, punto dopo punto, ne misura la profondità e ne conosce sempre più le regole, per ottenere finiture complessissime, volumi lucidi, opere fresche.
Cosa non si fa per un bel piatto.

Le lavorazioni degli Amaaro, sono tutto fuorché veloci. Ricordano la complessità della costruzione dei cibi semplici degli chef. I bianchi caldi delle loro alzatine sono costituti da strati di colore diversi cotti a temperature diverse, da uno studio attento, dalla sperimentazione.


Il mondo che ispira Claudia e Martino è immenso. Traggono ispirazione da tutto. Dalle arti visive in cui inseriscono il loro vissuto. A quella volta in cui hanno visto le ceramiche di Melotti a Lucca. Al rinoceronte di Albrecht Dürer. Alle oche dondolanti di Daniel Spoerri nel parco di Seggiano, le oche in fuga dai musicanti.
Alle volte in cui le suggestioni prese qua e là gli hanno permesso di mettersi in discussione, di tornare in laboratorio [dal lat. mediev. laboratorium, der. di laborare «lavorare»] e di scrivere una nuova storia.

L’animale nella tradizione c’è sempre stato. E a Claudia e Martino piacciono sia formalmente che idealmente tanto che le loro opere possono essere lette come un omaggio stesso all’animale, in un momento di fragilità degli ecosistemi, un inno al rispetto verso gli animali e verso noi stessi. Ma gli animali sono anche una presenza mistica e divina da tenere nel proprio abitato. I numi tutelari, figure di divinità, santi, spiriti o entità spirituali invocati o venerati per protezione, guida o assistenza. Portatori di poteri speciali o di una connessione con il soprannaturale, vengono spesso invocati in momenti di bisogno, difficoltà o per cercare aiuto o protezione in determinate situazioni, così come gli animali degli Amaaro, dei, custodi e guardiani che ti tutelano all’interno della casa.
Perché l’animale è un soggetto facile che attira e incuriosisce bimbi e anziani.
Appena vedi due occhi dall’altra parte ne sei attratto.

Quando chiediamo cosa si aspettino Claudia e Martino dal futuro arrivano fulminee le parole di risposta di Martino: “più organizzazione per continuare a sperimentare; magari altre persone qui con noi per affiancarci in tutte quelle attività in cui siamo manchevoli.” Mentre Claudia, ha nostalgia delle aule che pullulano di insegnanti e di giovani che sgranano gli occhi curiosi, che apprendono. Il loro laboratorio potrebbe trasformarsi in una scuola, creare formazione per creare cultura. Quello che sappiamo è che il loro laboratorio ha ancora molta strada da percorrere, Martino ha ancora infiniti oggetti da realizzare con il suo tornio, Claudia indosserà ancora molte altre volte la sua tuta, i suoi guanti e la sua maschera, ci saranno ancora animali, nuove creazioni, interpretazioni, elaborazioni, colori plastici, quasi materici, bianchi caldi, brillanti, le barde dello stampo, leziosità meravigliose, punto dopo punto.

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