Quattro giorni, Emilia, Romagna, sei botteghe, ceramica, ceramisti e tanti incontri.
Viaggio per la ceramica documentato da Barbara driver e non solo …
“L’uomo è un essere di desiderio. Il lavoro può solo soddisfare i suoi bisogni. Sono rari i privilegiati che riescono a soddisfare i bisogni dando retta al desiderio. Costoro non lavorano mai.”
(Henry Laborit “Elogio della fuga”)
Domenica 18 marzo 2018 ore 9.15, in perfetto orario, nel pieno centro della città, io e Susy, carichiamo la macchina sotto la pioggia di Torino che ci regala la Turin Marathon e, per questo disagio, non previsto, ritardiamo la partenza di ben 45 minuti. La speranza di trovare bel tempo ci dà la carica per affrontare il viaggio. Arrivate sul posto la pioggia si fa più intensa, accompagnata da un vento gelido. Nel mezzo di una campagna sperduta, in quel di Montecchio, ci accolgono Claudia e Martino, giovani ceramisti dal nome “Amaaro”. L’impatto è immediato: il caldo del laboratorio, le forme di animali come conigli, mucche, anatre,… i colori vivaci delle opere ed i loro sorrisi ci riscaldano subito. Sono vestiti da “astronauti”, una tuta bianca, mascherina e guanti, nonostante sia domenica mattina sono al lavoro e ben disposti a farci vedere le loro opere. Con umiltà e timido orgoglio ci presentano le nuove creazioni. Quello che si respira è entusiasmo, bravura, leggerezza.
Susy si precipita ad osservare le opere finite per poter scegliere che cosa portare a Torino, io “rapisco” Martino per farmi spiegare i processi di lavorazione. Lui mi racconta che era un architetto e che ha lasciato la sua professione per inseguire la sua passione: creare oggetti, lavorare la ceramica in modo originale, nuovo; Mi racconta che il laboratorio era molto più piccolo di quello che vedo oggi e che, ora, si stanno allargando in quello che era uno spazio di famiglia: da una parte il laboratorio pieno di polvere ed oggetti grezzi, dall’altra lo show room con le opere finite. Esattamente ciò che percepisco dai suoi racconti: da una parte la sfida verso il futuro con tutte le paure che ne comportano, proprio come il laboratorio che è la stanza di preparazione, piena di polvere ed oggetti da sistemare e terminare, e dall’altra la certezza che oggi la sua vita abbia preso forma, colore, proprio come è lo show room. Dopo la pausa pranzo in quello che era un ristorante-balera, congelato nel tempo, rientriamo in laboratorio, incartiamo tutto e carichiamo la macchina con oggetti nuovi. I tempi sono ristretti. Avrei voluto fermarmi di più e, forse, se ci fosse stato il sole, questo sarebbe successo, ma il dovere ci chiama e ripartiamo per incontrare un’altra coppia di artisti a Ferrara : i Sig.ri Biavati. Salutiamo Claudia e Martino che, dopo il pranzo ed il vino “Verum Gaudium Lambruschin”, si sono rilassati, lasciando da parte la timidezza. Ci abbracciamo ed è un sincero abbraccio. Arrivate a Ferrara sistemiamo le valigie in un bed&breakfast ed andiamo a cena dai Sig. Biavati. La pioggia ed il vento sono sempre con noi… si vocifera neve in nottata…. Entriamo nell’abitazione dei Sig.ri Biavati e mi si presentano due immagini che mi danno la sensazione calda di casa e famiglia, due componenti che sono rare quando viaggi e che ti fanno sentire meno lontani dagli affetti: il camino acceso ed una bella cosciona di prosciutto crudo pronto per essere tagliato al coltello da Riccardo che ha cucinato la cena ed Antonella che ci ha preparato una torta spettacolare.
“Gran parte del carattere di ogni uomo può essere letto nella sua casa”. (John Ruskin)
La casa dei Sig. Biavati è un concentrato di disegni di Riccardo e loro opere in ceramica, ben disposte, ben chiare, pulite. Io mi perdo ad osservarle mentre Susy racconta del viaggio e parla di lavoro…. Ritorniamo nel B&B affrontando il vento e la pioggia, ma è a soli 5 minuti da “casa Biavati” per fortuna.
Il mattino dopo Riccardo viene a prenderci ed andiamo nella loro bottega in centro a Ferrara. È un mondo fatto di ceramica dove si riproducono favole, gufi, animaletti, paesaggi fantastici di diverse forme e dimensioni, dai colori poco vivaci ma dolci ed accentuati al punto giusto. C’è un ragazzo che sta preparando il pescecane e Pinocchio. Immortalo il momento per confrontare” il prima e il dopo”. Solita cosa: Susy sceglie gli oggetti da ritirare e io confabulo con l’artista di Pinocchio. Qui la polvere e il grezzo non sono nel percorso del laboratorio, ma su due piani ben distinti, il laboratorio, infatti, è al piano di sopra, ed è lì che si vedono le opere in “grezzo”. Quello che salta subito ai miei occhi è l’ordine con cui tutti gli oggetti sono disposti, che non avevo trovato a casa “Amaaro”:
L’uomo vive del disordine del suo cuore e muore dell’ordine che la vita vi stabilisce. (Nicolás Gómez Dávila)
Salutiamo i Sig.ri Biavati in maniera composta ma sincera, per raggiungere Tresigallo, dove ci aspetta Sara Mantovani per pranzo. Arriviamo nel suo laboratorio- casa e lei si scusa con Susy per non aver prodotto nulla di nuovo, è molto impegnata in questo periodo con mostre, ordini etc… per cui ciò che vedremo è destinato ad altro “commercio”. Susy capisce il motivo e osserva comunque ciò che c’è di nuovo senza trattenere le lodi per quest’artista davvero molto brava e dandole due dritte su cosa avrebbe bisogno per il futuro, per rinnovare, per stupire, caratteristiche che ritrovi nel suo negozio. Sara ascolta come fanno i bimbi quando parla la maestra, memorizza tutto fissandola negli occhi e ripetendo il si con la testa. Pranziamo assieme con piadina tipica di eccezionale bontà; salutiamo Sara che nel frattempo ha elogiato i miei disegni e l’ha fatto in modo molto naturale e curioso, com’è lei, come sono le sue creazioni, accostate da tecniche lucide e ruvide, di colori neutri ma eleganti, che emanano curiosità, semplicità, empatia, un mondo a parte che la rispecchia molto. Un onore per me quando ricevo i suoi complimenti, che confermano che solo i grandi hanno la caratteristica di essere umili, semplici.
“La giovinezza è felice, perché ha la capacità di vedere la bellezza. Chiunque conservi la capacità di cogliere la bellezza non diventerà mai vecchio.” (Franz Kafka)
Partiamo per Faenza dove ci aspetterà Mirta Morigi che mi è stata descritta come una donna energica, allegra, esuberante e molto famosa dalle sue parti e non solo. Sono curiosa, non vedo l’ora di conoscere il suo mondo. Lo sguardo al meteo è diventato un contorno, il sole l’abbiamo incontrato grazie all’incontro con gli artisti, non è per noi più un problema e, infatti, consultiamo il telefono solo per attivare il navigatore che con la voce di Susy è anche più divertente: confonde la destra con la sinistra e sono tanti i momenti in cui metto l’indicatore da una parte per girare dall’altra. Entriamo nel centro di Faenza per passare dal laboratorio dove Susy ritirerà le chiavi di casa di Mirta che ci ospiterà a dormire. La casa di Mirta è un piccolo museo di ceramiche, libri, oggetti, coperte orientali, oggetti artigianali e il profumo di spezie invade i miei sensi. Mi perdo nell’osservare tutti gli oggetti che una casa possa contenere e la paragono con la mia, che ne ha già tanti di oggetti, ma che questa supera per numero ed originalità. Sistemiamo le valigie siamo pronte per andare nel suo laboratorio.
L’ingresso da un portone a forma di arco in mattoni presagisce storia, produzione, artigianato puro. Quando entro ho l’impatto con numerosi oggetti impolverati che sono lì da anni, foto del passato, biglietti, giocattoli antichi appesi ad un filo, disegni che le persone hanno lasciato come ricordo del proprio passaggio. Si respira storia, ma anche duro lavoro e produzione ben organizzata.
C’è polvere, tanta polvere.
Ci sono vasi, tanti vasi.
Ci sono oggetti, tanti oggetti.
Serena ed Edda lavorano con Mirta, da tanti anni, ma sono tanti i ceramisti che si appoggiano al suo laboratorio per creare ed aiutare la produzione di oggetti. Serena disegna su ceramica e la sua posizione curva sulla sedia, il movimento delle mani che muove con dimestichezza maneggiando gli attrezzi da lavoro, quasi senza guardare se l’oggetto che cerca sia in quel preciso posto, mi fanno capire che fa questo mestiere da tantissimo tempo. La fluidità con cui posiziona le ceramiche da decorare è unica. Lei fa principalmente questo, ma poi si sposta per tutto il laboratorio in tempi ben precisi e per fare altro che probabilmente ha lasciato indietro, ma che sa di dover terminare entro sera. Edda è più pratica, sistema le creazioni, si sposta da una parte all’altra del laboratorio con fogli in mano, ma poi passa alla parte manuale, spruzzando vernici, sistemando le ceramiche che andranno in cottura, un fact-totum diciamo, ed infatti sarà quella che gestirà la contabilità con Susy. Io mi aggiro per il laboratorio come farebbe una bambina in un parco giochi, dove tutto quello che vede è nuovo e bello. Passo da una parte all’altra delle stanze cercando di capire i vari processi di produzione e, infatti, di lì a poco blocco Edda per chiederle delucidazioni su cosa stia facendo. Lei mi dice che sta spruzzando una vernice, necessaria per la cottura e che il bello di ciò che vedo, e che andrà a mettere in forno, sono proprio i risultati del colore che si presentano in una tonalità, ma che, dopo la cottura, risulteranno diversissimi: “E’ il bello di questo mestiere” mi dice “hai sempre la sorpresa di ciò che ne verrà fuori”. Nel frattempo Mirta ha finito di lavorare a computer e si sposta a modellare un bruco. Rimango incantata dal suo modo di fare. Ancora non mi ha rivolto la parola, tranne che per presentarsi. È una donna di spessore che studia le persone per poi, se le vanno a genio, rivolgere loro la parola. Sento la forza dell’esperienza, del vissuto, della fragilità e forza allo stesso tempo, sono concertate tutte lì, nel suo corpo minuto ma rigido, ma soprattutto nelle sue mani, che immortalo con una foto in primo piano mentre lavora la ceramica. Mi chiede quasi distrattamente cosa faccio io e le mostro le mie foto. È l’occasione per far emergere il suo insegnare, il suo essere donna che inventa e sperimenta. Senza esitazioni mi dice che alcune delle mie cose “le fanno cagare” e che dovrei inventarmi una tecnica diversa, che lei mi mostra e che sperimenterò il giorno dopo, ma, aimè, con scarso risultato. Torniamo in macchina con lei ed a casa sua per poi andare a mangiare in un posto restaurato: un’ex molino del 1445, pieno di opere d’arte e curato nei minimi particolari, con produzione di cibo e alimenti vari. Si parla di vita, di sentimenti, di progetti, sono discorsi che hanno un certo spessore e a cui, spesso, non riusciamo a dare risposta, ma che segnano la vita. Proprio come il suo corpo che ha dei limiti, e che la costringono a gesti forzati, che l’hanno segnata, ma mai costretta alla rassegnazione di ciò che fa ed ha sempre fatto, piuttosto alla ricerca di soluzioni ed inventiva. Questo è Mirta e mi affascina molto. Vorrei ascoltarla ancora a lungo, ma si fa tardi per tutte e torniamo a dormire, l’indomani io sarò alle prese con la mia deludente prova di disegno su ceramica e Susy con l’incontro con Fiorenza Pancino, sempre di Faenza, sempre ceramista, sempre sotto la pioggia.
A volte le parole non bastano.
E allora servono i colori.
E le forme.
E le note.
E le emozioni.
(Alessandro Baricco)
Il laboratorio di Fiorenza e a pochissimi minuti da quello di Mirta. Susy ha trovato nuove creazioni e, per questo, dovrà passare da lei per fare il carico non previsto. Entro nel suo laboratorio tutto bianco dove i colori che emergono sono solo quelli delle sue opere: fiori, torte, animali, angeli tutti coloratissimi, tutti bellissimi, ovviamente. Io scorgo una ballerina ed un calamaretto e li trovo perfetti da regalare ai miei figli. Scelgo la ballerina rossa e gli accosto il calamaretto più rosso scuro…. Noto che l’accostamento di colori non mi convince e scelgo successivamente il calamaretto verde. Ecco: sono perfetti! Non banalmente Fiorenza mi dice che ogni oggetto che lei crea richiama le emozioni ed ogni colore le accompagna. Lì dentro io non sceglierò mai un oggetto ed un colore che poco richiamano la mia anima, il mio modo di essere in quel momento. Ogni oggetto che ha creato ha segnato un momento della sua vita ed è per questo che i colori che si trovano sono particolarmente diversi tra loro: ci sono fiori tutti neri oppure tutti colorati, forme grandissime oppure piccolissime. È ciò che siamo noi: mai uguali neanche nell’arco di una giornata, ma un mix di emozioni e sentimenti.
L’eleganza non è farsi notare, ma farsi ricordare. (Giorgio Armani)
Una piccola pausa dalla ceramica la prendiamo la sera dove andiamo, insieme con Mirta, a Lugo, un paesino a 15 minuti da Faenza. Lì ci aspetta Stefania che lavora in uno store di abiti Vintage, storico e dal nome poco confondibile, italiano insomma: ANGELO. Una palazzina di tre piani che sembrano pochi quando scopriamo l’immensa collezione di abiti ed oggetti vintage. Un viaggio nel passato, nell’eleganza e l’originalità degli anni passati. Oggi è tutto così omologato e monocolore… un tempo si osava di più, l’ego era molto più forte, almeno all’apparenza. Comprerei tutto se fossi la figlia di Berlusconi, ma torno alla realtà ed acquisto “solo” due coperte che potrò usare per rallegrare i letti dei miei bimbi. Stefania è gentilissima, accomodante e mi racconta che Angelo ha aperto questo store da circa 45 anni e che ha clienti di fama mondiale. Che bello, ancora qualcosa per cui farci invidiare dai Parigini e la loro moda per me discutibile….. Finito il tour nel passato andiamo a trovare Enrico che lavora con il legno e fa sculture di ogni tipo in metallo. C’è una bellissima cucina in acciaio e legno, c’è un tavolo rivestito di pelle, una lampada con la sella di cavallo che sembra uno struzzo… quanta genialità in un solo negozio penso. Penso anche che domani sarà il nostro ultimo giorno e che, fra poco, andremo a cena a casa di Mirta, mangiando una zuppa orientale con Miso ed altri semini che ignoro, ma di cui Susy è esperta e golosa, …. per poi riposare e tornare a Torino, con l’ultima tappa a Bologna
“Gli oggetti avevano la specialità di impiantarsi nell’anima per poi dire all’anima che cosa fare…!” (Bruce Chatwin)
Direzione Bologna, dunque, con la Betty a bordo che mi fa da navigatore sostituendo Susy e che mi mette all’inseguimento di veicoli colorati, motorini, furgoni e vecchiette che attraversano la strada, per indicarmi la direzione da seguire. Mi sento come Frank Poncharello nei “Chips”, solo che io non sono nelle larghe strade della California, sono nei vicoli di Bologna!!! La Betty è ceramista e lavora da tanti anni con Carlo loro sono Pastore e Bovina L’ingresso del loro negozio, “Crete”, é molto elegante, con oggetti veramente curati e di prestigio. Nel retro il laboratorio, dove si respira la creatività e la sperimentazione, la produzione elegante e ricercata. Brinco Betty per sapere le varie fasi di lavorazione e, gentilmente, lei mi spiega che c’è molto lavoro e che il tempo è sempre poco, che Carlo si occupa dei disegni e che Giovanni è l’addetto al negozio. Una visita veloce perché il tempo è ristretto. Susy sceglie le creazioni da proporre nel suo spazio, carichiamo la macchina e si procede verso Torino non prima di aver fatto una piccola parentesi, con tutti loro, parlando di gusti musicali e di come sia difficile per chi fa questo mestiere potersi concedere degli spazi di libertà, di passare ogni giorno con le mani sporche e la testa piena di pensieri, di avere una vita ma condizionata dal momento attuale, dove ciò che lasci è perduto e devi fare delle scelte che a volte pesano, ma necessarie per inseguire un sogno, l’unico che li motiva per farli alzare ogni mattina: LA CERAMICA.
“Il viaggio non soltanto allarga la mente: le dà forma” (Bruce Chatwin)
Ringrazio Susy per avermi reso partecipe di cosa c’è dietro una creazione, che ogni oggetto che vedrò nel suo negozio da oggi avrà una storia legata all’artista stesso, quello che ho conosciuto in questo breve viaggio. Dietro quell’oggetto c’è un’anima con tutte le confusioni, determinazioni, emozioni, sfide, orgoglio, paure, stanchezza, originalità e che la forma e i colori sono “soltanto” il mezzo che hanno per comunicarcelo. Ricordatelo quando comprerete un’opera da “Creativity Oggetti”. Ringrazio tutti gli artisti per averci regalato il sole, che alla fine è arrivato, ma non serviva più se non per farci viaggiare serene.
Barbara Giovinazzo